Nonostante qualche timido accenno di ripresa e un’occupazione in risalita, l’Italia resta il fanalino di coda dell’Europa: i dati Eurostat.
L’Italia sta vivendo un periodo di ripresa economica, migliora il reddito finanziario generale, aumenta leggermente il potere di acquisto delle famiglie, cala la povertà e aumenta l’occupazione, segnando un dato davvero positivo che non si vedeva da decenni, con oltre 24 milioni di cittadini occupati. Sono dati che fanno sperare in un trend positivo, dei quali il Governo Meloni si vanta.
Se il Governo Meloni sta facendo la sua parte, l’Italia resta ancora il fanalino di coda dell’Europa, e lo testimoniano i dati Eurostat usciti in questi giorni. Peggio di noi soltanto la Grecia, anch’essa alle prese con una crisi economica persistente iniziata quindici anni fa. Dunque, gli slogan sfoggiati dal Governo attuale sono tutti veritieri? Eurostat smentisce alcuni punti.
I dati Eurostat sui redditi italiani: Italia agli ultimi posti in Europa per crescita sociale
Eurostat ha pubblicato poco fa i dati riguardanti il “Quadro di Valutazione Sociale”, il quale monitora l’andamento sociale nell’intera Comunità Europea. La narrazione del Governo, in certi casi, si scontra contro le indagini poste in esame, tanto che il nostro Paese resta ancora impantanato in una crisi stagnante, e ha difficoltà nel superarla.
Nonostante gli accenni di crescita nei vari settori, i maggiori investimenti e il calo della disoccupazione, il reddito disponibile reale lordo delle famiglie italiane si attesta oltre sei punti percentuale al di sotto di quello precedente al 2008, anno in cui è iniziata la crisi economica. La media dei redditi disponibili in Italia è calata da 94,15 a 93,74, contro una media europea in crescita da 110,12 a 110,82.
Rispetto alla media europea, il reddito disponibile reale in Italia è inferiore di 17 punti, e ciò segnala le criticità affrontate dalle famiglie italiane nell’affrontare le spese quotidiane. Dunque, il potere di acquisto dei cittadini italiani resta paralizzato, e non migliora le condizioni di vita. Questo perché, se da una parte l’inflazione aumenta il costo della vita, dall’altra parte gli stipendi sono fermi a 30 anni fa.
Stipendi fermi a 30 anni fa, costo della vita elevato e la piaga del lavoro povero
Soltanto la Grecia fa peggio dell’Italia, mente migliorando decisamente Germania e Francia, e anche la Spagna, nonostante sia indietro come l’Italia, sta progredendo nella direzione giusta. Che cosa significa questo quadro economico? Che nonostante un occupazione in crescita, gli stipendi sono ancora troppo bassi, e non salvano dal rischio di povertà. Sondaggi politici, chi ci ha guadagnato e chi no: i partiti che sono saliti, tra sorprese e conferme.
Non a caso, in Italia ha preso vita già da diversi anni un triste fenomeno, quello dei lavoratori poveri. Si tratta di persone che lavorano, ma che nonostante uno stipendio, non riescono a far fronte alle spese quotidiane, oppure arrivano a fine mese con i soldi contati. Si tratta di sopravvivenza, ma per vivere bene è necessario aumentare i salari, che al momento rientrano nella media Europa, ma che non vanno bene per il costo della vita in Italia.
Squilibrio tra costo della vita, inflazione alle stelle, tasse elevate e gli stipendi medi troppo bassi
C’è uno squilibrio evidente tra costi delle vita, tasse elevatissime, inflazione alle stelle, e stipendi medi. Inoltre, si devono considerare anche gli occupati precari, quindi tutti quei contratti part time, a tempo determinato, a chiamata, oppure in nero, che non offrono stabilità economica. Occorre puntare maggiormente su una cultura del lavoro, un lavoro regolamentato e ben pagato. “Consumi stagnanti, spese delle famiglie ferme”: Codacons lancia l’allarme sulla crescita (lentissima) del Pil.
La lotta al lavoro povero deve essere contrastata, con migliaia di lavoratori che non arrivano a 10 mila euro l’anno di guadagno. È la più alta percentuale di lavoro povero in Europa. Confesercenti evidenzia che abbiamo perso 2,2 punti di reddito a partire dal 2008. Questi punti si recupereranno solo nel 2028, ossia a distanza di 20 anni dalla crisi. Nel frattempo, intere generazioni sono rimaste fregate.